Frato
"Senza Titolo"
Perché un ricercatore disegna?
Molte volte mi è stata rivolta questa domanda, ma la domanda è sbagliata.
La domanda corretta dovrebbe essere: Perché un disegnatore fa ricerca?
Infatti io nasco artista, disegnatore e non ricercatore. I miei primi ricordi di bambino sono i miei disegni nella grande lavagna nera della scuola infantile che le maestre venivano ad ammirare. Poi, più tardi i pomeriggi d’estate al mare approfittando della nudità delle bagnanti e dei bagnanti per studiare figura e le mie visite agli studi dei pittori fanesi per vederli dipingere e per avere in regalo i loro tubi di colore terminati che a casa aprivo, raschiavo per usarne il colore nei miei primi quadri e con la lamina di piombo realizzavo piccoli sbalzi.
Ricordo i ritratti, le caricature, i paesaggi marchigiani, gli studi di arte sacra. Poi sono cominciati gli studi, all’inizio faticosi per la mia difficoltà con la matematica, più tardi, iniziato il corso di studi magistrali più interessanti, fino all’Università Cattolica a Milano con anni di sudi molto duri per garantirmi una borsa di studio che mi permetteva di mantenermi in quella città che mi sembrava tanto lontana e ostile. In questi anni la mia natura artistica covava sotto la cenere, emergeva saltuariamente per un disegno, uno schizzo, un progetto. Ho la casa piena di disegni e preparatori, ma poche realizzazioni.
Poi è arrivato il 1966 con il cambio profondo della mia vita. Mi sono sposato, siamo andati a vivere a Roma, sono diventato ricercatore all’Istituto di Psicologia del CNR di Roma.
1966, nascono i miei personaggi.
In quell’anno, un collega più anziano del mio Istituto mi chiede di aiutarlo in una ricerca che sta realizzando sulla aggressività dei bambini. Per questo bisognava tradurre in italiano e al mondo infantile il Test per immagini del ricercatore americano Saul Rosenzweig. Era un test che presentava varie situazioni in tre immagini, una di presentazione e due di risposte possibili fra le quali il soggetto doveva scegliere. Per questo test realizzo i personaggi che ora sono protagonisti delle mie vignette. Il test si chiama Tema 9 (TEst di Misura dell’Aggressività NOn VErbale) di cui qui si presentano alcune tavole. Mafalda dell’amico Quino è nata da due anni, nel 1964 ma arriverà in Italia solo nel 1968 e io la conoscerò alcuni anni più tardi. È divertente considerare che Mafalda, personaggio di un grafico, nasce da un progetto di pubblicità per una ditta di elettrodomestici, poi non realizzato, mentre i personaggi miei, di uno psicologo, nascono da un test psicologico. Naturalmente non voglio con questo paragonarmi a Quino, che ho sempre considerato un maestro, che sono orgoglioso di avere come amico e che ho conosciuto alla Fiera del libro di Buenos Aires quando andai a chiedergli l’autografo su un suo libro.
(DUE TAVOLE DEL TEMA 9)
1968, nasce Frato.
Nel ’68 il mondo si ribella. Gli studenti scendono i piazza, si scontrano con la polizia, occupano le facoltà e le scuole. Chiedono nuovi contenuti e nuove forme di comunicazione. Poco dopo anche gli operai si escono alla protesta. Molti intellettuali e docenti aderiscono alle richieste degli studenti e nascono nuove forme di dialogo e incontri su contenuti più attuali e attraverso linguaggi più diretti. Io, che lavoravo come ricercatore sui temi educativi, cercando di proporre cambiamenti nel rapporto fra insegnanti e allievi, recupero i personaggi creati due anni prima per aprire con il mondo della scuola una finestra di dialogo diversa, più diretta, più esplicita e aggressiva. Frato nasce per dare la parola ai bambini, per rendere espliciti i pensieri nascosti, censurati, inespressi. Per rendere visibili i bambini che rimangono spesso trasparenti. In fondo i contenuti delle vignette di Frato sono gli stessi delle mie ricerche e dei miei libri “scritti”, ma l’effetto è diverso. La lettura di un libro può convincere, far sorgere dei dubbi, suggerire soluzioni innovative, oppure può convincere che l’autore è esagerato, non conosce il problema, è un utopista. Una vignetta invece può suscitare una emozione: può commuovere o irritare, può essere strappata e gettata via con rabbia, o appesa al muro, come un simbolo, come un elemento di identità, di riconoscimento.
Rispetto ai più grandi maestri del fumetto, da Walt Disney a Schulz o Quino (che ammiro e riconosco come maestri), mi pare ci sia una differenza importante: per loro gli animali o i bambini sono un pretesto per parlare dei problemi, dei difetti, delle contraddizioni degli adulti; contraddizioni e difetti che, rappresentati nel mondo degli animali o dei bambini, risultano ancora più assurdi e riprovevoli o commoventi. Animali o bambini assumono il ruolo di maschere (lo sfortunato, il timido, il malvagio, il saggio, il furbo, ecc.) per dar luogo a nuove favole moderne. Nel mio caso invece i bambini rappresentano se stessi e il grottesco nasce dalla esplicitazione di quello che normalmente è implicito, segreto, forse sospettato, ma mai chiaro e detto. Le situazioni rappresentate sono le più normali, le più usuali, quelle che descrivono il nostro quotidiano rapporto con il bambino: le sue domande, le nostre risposte, i nostri insegnamenti, le nostre proibizioni, i nostri regali, le nostre aspettative. Questa quotidianità facilita o addirittura rende necessario il riconoscimento, l'identificazione del lettore adulto con la situazione proposta: "E' vero, succede anche a me". La conclusione grottesca provoca la risata ma chi ride è perduto. La risata è amara perché si ride di se stessi: è un momento delicato, difficile, può produrre il rifiuto, l'offesa, oppure la commozione, il dubbio di un errore commesso. Mi sembra comunque che sia un momento importante: una provocazione proiettata alla discussione, all'approfondimento, alla verifica. Una vignetta può diventare una bandiera, un grido di protesta o un proposito.
Non è un caso che nel 1981, al volume che raccoglie le prime 150 vignette, ponga il titolo “Con gli occhi del bambino”. Questo titolo riassume la mia filosofia di lavoro tanto come ricercatore che come disegnatore: cercare di vedere il mondo dal punto di vista dei bambini e delle bambine, dalla loro altezza, con la loro sensibilità. O per dirlo con Janusz Korczac: “essere costretti ad elevarsi fino all’altezza dei loro sentimenti. Stiracchiarsi, allungarsi, sollevarsi sulle punte dei piedi”.
Perché Frato?
Se gli scopi erano così nobili perché non ho firmato le vignette con il mio nome? Non saprei dare una spiegazione sicura, molte volte le scelte sono casuali. Spesso ho spiegato questa scelta per un certo senso di vergogna che provavo nel realizzare questi disegni poco degni di un artista quale mi sentivo con i miei studi di paesaggi, ritratti, nature morte, fino all’arte sacra e anche poco dignitosi per un giovane ricercatore che cercava di farsi apprezzare nel suo campo. Ma forse ci sono altre ragioni meno nobili e più ludiche come il piacere di creare un personaggio misterioso che interviene in difesa dei bambini celato da una maschera. Potrebbe confermare questa seconda ipotesi un divertente episodio che vissi nel 1980 a Madrid. Partecipavo alla Escuela de Verano organizzata da Acción Educativa e durante un pranzo un giovane asturiano mi regala una serie di fascicoli di un giornale dei bambini e per bambini che lui curava per un quotidiano locale. Non sapendo come ringraziarlo io gli dissi: “Se vuoi posso regalarti un disegno di Frato”. Lui mi guarda stupito e mi dice: “Tu conosci Frato?” e aggiunge: “Ma Frato è italiano?”. Io, che non mi rendevo conto se mi stava prendendo in giro o se era sincero presi un tovagliolino di carta e disegnai un mio personaggio. Il poveretto quasi sveniva! In quegli anni infatti le vignette venivano pubblicate in Spagna nell’ultima pagina della rivista mensile “Reforma de la escuela” con la sola firma Frato ed io, con il mio nome firmavo articoli al suo interno
Lo stile di Frato
Spesso, mi chiedono di spiegare come disegno. Di solito mi invento qualcosa, ma la verità è che disegno come mi viene. Essendo per me assolutamente naturale e spontaneo disegnare, molto più che scrivere o cantare o ballare, di solito non progetto, non faccio prove, ma disegno come mi viene spontaneamente. Poi, riguardando i disegni scopro delle caratteristiche che a volte mi sorprendono. Spesso mi dicono che i miei disegni assomigliano a quelli di Quino. Naturalmente per me è un complimento, ma a parte quello che ho scritto sopra sulla nascita assolutamente indipendente dei miei personaggi molto prima di conoscere Mafalda, mi sembra che stilisticamente siano profondamente diversi. Osservandoli a posteriori mi sono accorto con sorpresa, per esempio, che i miei personaggi sono disegnanti quasi sempre di profilo. Non perché sia più facile o perché non si capace di disegnarli di prospetto, ma probabilmente perché sono spesso rappresentati mentre dialogano fra di loro o con un adulto. I profili sono quasi sempre uguali. I diversi personaggi si distinguono per i capelli, per la forma o la pettinatura. I maschi hanno le orecchie e le bambine no! Non si vogliano dare interpretazioni maligne o di profondi significati perché il fatto è esclusivamente legato alla capigliatura femminile che le copre. Una caratteristica certamente rilevante è il disegno incompleto, a volte solo accennato. Quasi sempre disegno solo la parte anteriore dei miei personaggi risparmiando molto inchiostro. Sinceramente mi piace che la figura si “senta”, che si intuisca dietro le poche linee tracciate. Un breve racconto merita lo strumento usato per i miei disegni. Come tutti i disegnatori degli anni sessanta e settanta ho utilizzato tutti i prodotti offerti dalla grafica del tempo. Ho un cassetto pieno di penne rapidograf dei vari numeri. Ho passato giornate intere a pulirle, specialmente quelle a punta più fina, perché si otturavano con molta facilità. Erano un mucchio di ore perse, di mani sporche, di macchie sui disegni. Poi un giorno, credo all’inizio degli anni novanta, ho ripreso la mia vecchia cannuccia con la quale a sei anni avevo imparato a scrivere, ho scelto un pennino adatto, ho comprato una boccetta di inchiostro di china nero e ho risolto per sempre i miei problemi con le penne. Mentre con i rapidograf utilizzavo le diverse misure per i segni di diversa grossezza (quelli in primo piano più marcati, quelli lontani e le sfumature o i dettagli più sottili) ora potevo utilizzare un unico pennino, abbastanza flessibile per disegnare tutti i segni di una tavola. Il pennino funziona un po’ come un pennello ed aumenta il segno aumentando la pressione sul foglio. Questo ritorno all’antico strumento scolastico mi ha portato a cercare i diversi tipi di pennini per trovare il più adatto alle mie esigenze e così è nata una collezione che oggi supera i 100 pezzi delle forme più diverse. Naturalmente per disegni di maggiori dimensioni per la realizzazione di poster utilizzo il pennello, sempre di pelo di martora. Un’ultima nota la merita la carta. Sono un appassionato raccoglitore di carte di diversi tipi. Molti anni fa mi avvisarono che un cartolaio di Pistoia doveva liberare un magazzino dove conservava materiali scolastici antichi (di prima dell’ultima guerra mondiale). Corsi e riuscii ad acquistare alcune risme di carta da disegno fatta a mano con una corona impressa in filigrana. Da allora tutti i miei disegni nascono su quella carta.
Di seguito presenterò un rapido percorso dentro il mondo infantile utilizzando alcune vignette emblematiche in rappresentanza delle più di mille vignette che ormai ha disegnato e pubblicato Frato.
Tavola 1. Dove sta il bambino?
1968, cm. 10x18, inchiostro di china con rapidograf.
Pubblicato su “L'Espresso” n. 49, 1971 e raccolta in “Con gli occhi del bambino”
Tavola 2. Il nido non è un attaccapanni
1975, cm. 20x10, inchiostro di china con rapidograf.
Pubblicato sulla rivista italiana “Zerosei” nel 1976 e raccolto in “Con gli occhi del bambino”. Ne è stato tratto un poster in quadricromia cm. 70x50.
Tavola 3. La vestizione
1976, cm. 22x16, inchiostro di china con rapidograf.
Pubblicato su “Zerosei” nel 1976 e raccolto in “Con gli occhi del bambino”. Ne è stato tratto un poster in quadricromia cm. 70x50.
Tavola 4. Senza titolo (Mi dia quello più caro..)
1988, cm 14x14, inchiostro di china a penna.
Realizzato inizialmente come poster per la prima Biennale Internazionale del Giocattolo di Torino del 1988, pubblicato come vignetta su “Il Giornale dei Genitori” del 1989 e raccolto in “Bambini si diventa”.
Tavola 5. Il posto 1 e Il posto 2
1969, cm. 18x9, inchiostro di china con rapidograf.
2007 cm. 18x9, inchiostro di china a penna.
Pubblicati su “Con gli occhi del bambino” e su “Frato 40 años con ojos de niño”.
Tavola 6. La valutazione
1974, cm. 24x18, inchiostro di china a penna.
Pubblicato sul volume AA.VV. “A scuola con il corpo”, e inserito in “Con gli occhi del bambino”. Usato per la copertina del volume “Valutare per conoscere” (1983).
Tavola 7. Senza titolo (scusate il disturbo)
1998, cm 24x18, inchiostro di china a penna
Pubblicato sul volume “Frato 40 años con ojos de niño”.
Tavola 8. El consejo de niños
2002, cm 12x12, inchiostro di china a penna
Pubblicato sul volume “Se i bambini dicono:adesso basta”.
La censura
Non ho mai subito interventi di censura per i libri o gli articoli che ho scritto. Ho spesso invece dovuto subire la censura a causa dei miei disegni. Più volte le mie vignette sono state rifiutate o mi è stato chiesto di modificarle. Mai questo è successo con riviste o case editrici conservatrici, sempre con quelle più progressiste. Questo conferma che la vignetta colpisce spesso più a fondo del testo scritto e risulta insopportabile (come una medicina molto amara). Conferma però anche che le nostre società non sono disponibili alla critica e specialmente all’autocritica, e non lo sono specialmente le forze socialmente più impegnate e progressiste. Un bel mistero!
Tavola 9. Incesto
1988, cm 14x14, inchiostro di china a pennello.
Pubblicato senza titolo in “Bambini si diventa”. Pubblicato con il suo titolo originale in “¡Si no os hacéis como yo!”.
Tavola 10. Senza titolo (aggiornami e sarò tua)
1984, cm 14x14, inchiostro di china a penna
pubblicato in “Bambini si nasce”.
La carriera di Frato fino all’honoris causa.
Quando iniziai a disegnare le vignette pensavo che fosse una esperienza limitata nel tempo e di scarso valore, pensando sempre che la mia vocazione principale fosse quella di pittore o disegnatore di contenuti più seri e importanti. Invece quei disegni così essenziali e quelle vignette così polemiche sono piaciute. Varie riviste italiane, spagnole, francesi le hanno pubblicate e mi hanno chiesto di pubblicarle mensilmente. Sono nati i primi libri: Con gli occhi del bambino, Bambini si nasce, Bambini si diventa, La solitudine del bambino, fino ai più recenti: Con gli occhi del nonno e Con gli occhi della bambina. Merita una nota a parte il libro Cari genitori scritto con Giuseppe Masera un amico primario di oncologia pediatrica. Un giorno Masera mi chiede se sono interessato e disposto a disegnare delle vignette sui bambini malati di leucemia. Lo guardo stupito e gli rispondo che mi sembrava impossibile e di pessimo gusto disegnare vignette satiriche su un dramma umano come quello. Ma la sfida era lanciata e cominciai a pensare a quel tema così difficile e inquietante e le vignette nacquero e nacque il libro che personalmente amo molto perché mi ha insegnato che la creatività non ha confini. Già sapevo bene che non aveva limiti ma temevo che avesse confini…
Intanto libri di Frato diventavano libri di testo, suggeriti nelle bibliografie dei corsi universitari di Magistero prima e di Scienze dell’Educazione poi; le vignette venivano utilizzate da professori e relatori nelle loro lezioni e conferenze; diventavano poster di convegni, manifestazioni, proteste; copertine di libri, adesivi, magliette.
Nel 1990 a Torino si organizzò la prima esposizione dei disegni di Frato chiamata Fratografie che nel 1991 fu esposta a Fano in occasione della prima manifestazione del progetto “La città dei bambini”. Come ho già ricordato altre volte quella fu l’occasione nella quale conobbi Norberto Bobbio con il quale ho avuto il privilegio di stringere una amicizia per me preziosa. Quando Bobbio e sua moglie vennero ad inaugurare la mia mostra, Fiorenzo Alfieri, che l’aveva organizzata, mi chiese di accompagnare i due ospiti nella visita. Io obbediente mi avvicinai alla coppia sicuro che a due persone di quel genere i miei disegni non potessero assolutamente interessare. E invece con mia grande sorpresa mi accolsero con grande affetto, ringraziandomi dei miei disegni che li avevano fatti tornare con il ricordo al tempo in cui i loro figli erano piccoli e dicevano frasi simili a quelle delle mie vignette. Me ne raccontarono alcune e divennero altre vignette. D’altra parte, nella introduzione al mio libro La città dei bambini Norberto Bobbio si dilunga a descrivere i suoi giochi da bambino e certamente è sorprendente che un filosofo, un uomo di cultura si perda in simili ricordi: un altro miracolo di Frato!
Nel 1992, nell’anno delle Olimpiadi, La Caixa organizzò a Barcelona, in un modo completamente nuovo e con l’uso di nuove tecnologie, la mostra Fratografias.
Nel 1994 il libro La solitudine del bambino viene pubblicato con il titolo La solitude de l’enfant nella collana scientifica “Croissance de l’enfant, Genèse de l’homme” per volontà del suo direttore René Zazzo. Quando ci incontravamo René Zaxo, considerato uno dei padri della psicologia francese, mi metteva spesso a disagio parlando pubblicamente delle mie vignette come veri e propri testi di psicologia e di pedagogia.
Nel 2005 il comune di Rosario, in Argentina, realizza una grande mostra Frato en volumen, costruendo spazi e ambienti in tre dimensioni ispirati alle vignette, permettendo ai visitatori di entrare fisicamente dentro alcune vignette sentendosi parte dell’evento. All’inaugurazione assiste Hermes Binner, ex sindaco di Rosario e la sua e la mia emozione sono così forti che la moglie mi confessò che era la prima volta che lo vedeva piangere. Ancora miracoli! Nello stesso anno la mostra viene esposta al Museo Nazionale di Belle Arti della Recoleta di Buenos Aires. Negli anni successivi la mostra si è mossa in diverse città della provincia di Santa Fe.
Nel 2013 a Lima, in Perù viene realizzata la mostra Una mirada a la ciudad con ojos de niño, con ambienti e personaggi delle vignette realizzati in tre dimensioni, in un giardino pubblico della città.
Nel 2016 El Parque de las Ciencias di Granada, in Spagna, realizza una grande mostra Imaginar la educación, 50 años con Frato su una superficie di 1500 metri quadrati con una importante presenza di più di 100 disegni e tavole a colori originali. La mostra rimane esposta per sei mesi e viene visitata da più di 200.000 persone. Dopo Granada la mostra si sposta a Lleida, Oviedo, Pontevedra e continuerà a girare per altre città.
Negli ultimi 15 anni Tonucci ha ricevuto molti (forse troppi) riconoscimenti accademici con la nomina di professore honoris causa a Lima e con vari dottorati honoris causa dalle università di La Plata e Santa Fe in Argentina e Lleida in Spagna. Ma ho notato con meraviglia, sorpresa e gratitudine che l’Università di Oviedo, 31 di marzo del 2017, ha conferito il dottorato honoris causa a Tonucci e a Frato citando i due nomi in tutti i documenti ufficiali e illustrandone la motivazione nel discorso della madrina preparato con l’uso di decine di vignette. Credo sia un segnale interessante e forse importante che una istituzione accademica di prestigio conferisca questo riconoscimento ad un disegnatore.
Frato 2000, a cavallo di due millenni: ripartiamo dal Cla Cla Ktz Ktz
Questo libro raccoglie le vignette prodotte e pubblicate in diverse riviste italiane e straniere in questo secondo millennio, dall’anno 2000 ad oggi. Come sempre cercano di accompagnare i temi, le mode e le contraddizioni così come si affacciano nel tempo in cui viviamo, ma commentano anche le esperienze che riguardano le bambine e i bambini e che invece rimangono immutabili nel tempo, come la scuola, i compiti, le paure dei genitori. Mentre parlavo di questo libro in preparazione con una persona, questa mi ha ricordato una striscia che tanti anni prima aveva visto in un libro e che l’aveva colpita. Si tratta dell’unica striscia che ho disegnato, quella del Cla Cla, Ktz Ktz. L’unico dei miei disegni con un testo che non ha mai avuto bisogno di traduzione. Quella storia a fumetti l’avevo disegnata per la pubblicazione del primo libro pubblicato nel 1972 con il titolo La ricerca come alternativa all’insegnamento. La pubblicazione in Spagna di questo libro nel 1975 con il titolo La escuela como investigación fu il mio passaporto per iniziare un rapporto con la Spagna prima e con l’America Latina poi che non si è più interrotto. Per la riconoscenza e l’affetto che mi lega a quel libro e a quella striscia che non era più apparsa nelle successive pubblicazioni ho deciso di disegnarla di nuovo e di metterla in questa introduzione come apertura di questo libro. È una storia semplice che cerca di rendere evidente, utilizzando le risorse grafiche universali il difficile rapporto fra le culture delle persone, delle famiglie, delle diverse provenienze e anche delle diverse classi sociali e la cultura rigida e indiscussa della scuola. Una storia triste che si conclude con la rinuncia da parte della cultura più debole, ma purtroppo vera e ancora paradossalmente attuale, dopo quasi 50 anni di dibattiti, ricerche, leggi, riforme, promesse a favore di una educazione inclusiva.
Come pensano le bambine e i bambini?
Come noi però meno o però in piccolo potrebbe pensare ingenuamente un adulto, ma non è così. Il pensiero dei bambini è diverso e misterioso. Diverso perché diversi sono i loro interessi, i loro punti di vista, le loro preoccupazioni rispetto al mondo adulto. Misterioso perché è difficile capirlo. Spesso i bambini dicono una cosa per comunicarne un’altra o non dicono esattamente quello che pensano perché potrebbe creare loro problemi con noi adulti. Da 50 anni Frato cerca di rappresentare i pensieri delle bambine e dei bambini rendendoli visibili nei suoi personaggi, nelle sue vignette.
Un bambino di 5 anni di una città italiana ha detto: “Se gli adulti non ascoltano i bambini, vanno incontro a guai seri”; uno di 9 anni: “Ci sono troppi parcheggi nella mia città e i bambini non hanno posto per giocare. Propongo di fare a metà: metà spazio per le macchine e metà per i bambini”. Un bambino di 6 anni colombiano ha detto: “Mamma, io voglio andare a scuola un giorno alla settimana perché mi basta per imparare quello che mi insegnano e gli altri giorni mi servono per giocare” e un compagno di mio figlio, alla fine della mattinata di scuola si è alzato e ha detto: “Mi avete rubato cinque ore di vita!”
Queste che ho riportato e altre che in questi anni di lavoro con i bambini abbiamo raccolto sono rare testimonianze del pensiero infantile. Testimonianze che avvengono all’interno di un complesso e delicato lavoro di ascolto, di fiducia e di sincera richiesta di aiuto da parte degli adulti (il sindaco, il direttore della scuola) ai bambini.
Ma di solito i bambini queste cose non le dicono perché non conviene dirle. I bambini sono abituati a comportarsi da figli o da scolari e cercare di dimostrare a genitori ed insegnanti che stanno crescendo o stanno imparando. E quello che imparano molto presto è che per accontentare gli adulti la cosa migliore è ripetere loro quello che gli adulti pensano, e tenere nascosto il loro pensiero infantile. Un bambino sarà approvato dai genitori e dagli insegnanti se saprà rapidamente rinunciare ai suoi atteggiamenti e pensieri infantili per assumere atteggiamenti e pensieri adulti. È probabile quindi che gli adulti, in buona fede, pensino che i bambini siano d’accordo con loro, che veramente siano contenti di andare tutti i giorni nello stesso giardinetto per dondolare sull’altalena o scendere dallo scivolo; che siano contenti di dedicare tante ore alle scuole pomeridiane di danza, calcio, pianoforte; che desiderino veramente ricevere tutti i regali che suggerisce la pubblicità o passare tutte quelle ore davanti ad uno schermo. Nel secolo dell’infanzia i bambini sono diventati trasparenti, invisibili e, se possono, preferiscono rimanere nascosti.